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MEIN KAMPF KABARETT DI OROFINO AL CANOVACCIO

Quando uno stralunato Giovanni Arezzo irrompe nella scena sembra di vedere il drugo Alex di “Arancia meccanica” interpretato da Malcom McDowell. Viene rievocata tutta la potenziale pericolosità celata nel giovane spiantato Adolf Hitler, rimandando

al carnefice di Kubrick che mina la tranquillità borghese colla sua violenza e con il suo brutale razzismo da strada. Nell’intelligente regia di Alberto Orofino, che riduce sulla scena il difficile testo di George Tabori, il dramma è germinale, covato dall’atavica attesa ebraica dell’amore messianico. Due ebrei, due attori bravi, Francesco Bernava e Luca Fiorino, inscenano questa pantomima della vita, uno Dio, l’altro credente. Lobkowitz che asseconda il candore e la vita bugiarda di Herzl, racchiusa nella sua smisurata passione per la bontà del mondo, nella passione che si fa desiderio e corpo e assume le sembianze di una donna, un’eterea e allo stesso tempo carnale Gretchen interpretata da Alice Sgroi. E la sospirata amicizia con il giovane artista austriaco Adolf ne decreta invece il fallimento, la falsa illusione che può covare in ogni rapporto umano. Ma prima che questo sodalizio possa sbocciare una Morte gigionesca, innescata da Egle Doria, in una potente pantomima che richiama Bette Davis o l’inquietante Norma Desmond di “Viale del tramonto”, preleva Hitler perché per lui l’umanità e la storia hanno progetti più grandi, quelli di morte.

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