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Ricordando "il Calapranzi" di Pinter al Canovaccio, con Coltraro e Puglia e la regia di Or

In teatro o nel cinema non ha ragione d’esistere il duo drammatico, esiste il duo comico e quello più raro, il tragicomico, caro, ad esempio, a maestri della commedia come Monicelli e Risi. La coppia Sordi-Gassman ne “La grande guerra” e quella formata dallo stesso Gassman e da Trintignant ne “Il sorpasso” sono i casi più limpidi. I personaggi interagiscono in maniera speculare, uno stimola ed esalta le caratteristiche dell’altro in un gioco al massacro che fa crescere la tensione fino all’epilogo finale. Questo miracolo è avvenuto all’interno del teatro Canovaccio in occasione della messa in scena de “Il Calapranzi” di Harold Pinter, con la regia di Nicola Alberto Orofino e all’interno della rassegna XXI scena. Gli attori sono ancora una volta Cosimo Coltraro ed Emanuele Puglia ( dopo la straordinaria recente prova ne “L’alba del terzo millennio”) calati perfettamente nei ruoli di Ben e Gus, surreali sicari a pagamento che parlano l’ironico slang yiddish ma molto british, tipico del teatro pinteriano, qui ben mediato dalla regia di Orofino. Ben rappresenta la guida, l’appoggio morale, il braccio armato che sostiene l’ingenuo e socratico Gus. I due aspettano nel seminterrato di un ristorante le istruzioni per eseguire il prossimo lavoro, invece arriveranno solo ordini da un calapranzi e questo fa montare la tensione dell’attesa tra i due. Coltraro- Gus si interroga, è impetuoso, impaurito, cerca nel solido Puglia-Ben delle risposte che l’altro non gli può dare. Ci sarà solo un abbraccio, che sembra di conforto e che è invece sa di benedizione per l’atto finale.

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