A PROPOSITO DI “E’ VERO CHE IL GIORNO SAPEVA DI SPORCO” DI MARIO BONANNO (STAMPA ALTERNATIVA)
E’ stato come tornare indietro, meno che ventenne, in quelle aule occupate del liceo scientifico “Boggio Lera” di Catania, con una colonna sonora necessaria, piena di speranza, “Ho visto anche degli zingari felici” di Claudio Lolli, il più politicizzato tra i cantautori impegnati, eppure irresistibilmente poetico, “ti ricordi Michel?” Ricordo ancora un suo concerto nel 1976, al Magistero di via Ofelia con il prezzo politico di 500 lire. E ho immaginato che a vedere il
concerto ci fosse anche il mio nuovo amico Mario Bonanno, in realtà ancora troppo presto per assistere dato che è di qualche anno più giovane. Eppure leggendo il suo bel libro dedicato a Lolli, ho pensato che lui era presente, a coglierne i tratti peculiari di una produzione anomala nel panorama italiano di quegli anni, forse prevedibile e per questo poco scontata. In realtà non esiste cantautore italiano che più di Lolli ha raccontato il clima degli anni di piombo, di quella romantica utopia che voleva spazzare capitalismo e borghesia in un sol colpo: “…penso che gli anni Settanta non siano stati soltanto anni di piombo, ma anni di grande creatività. E non per l’ambito esclusivo del cantautorato italiano, ma per l’intero ambito pop-rock.”
Questo non è solo un saggio su un’artista musicale, è di più, una ricognizione sociologica e sentimentale su un decennio pieno di fermenti rivoluzionari e romantici. Un periodo che più dalla storia delle stragi e dalla lotta armata può essere raccontato meglio attraverso l’analisi dei testi di un malinconico cantautore bolognese, intervistato da un bravo e sensibile giornalista.