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LA NUOVA SICILIA DI GAETANO SAVATTERI

Gaetano Savatteri non ci sta. Batte i pugni e grida forte il suo manifesto della nuova Sicilia, in barba agli stereotipi infarciti di gattopardismo e gallismo e alle ridicole “corde pazze” che non ci appartengono più. “Non c’è più la Sicilia di una volta” (Editori Laterza) è il manifesto della New Sicily che avanza. Ne parliamo con Savatteri.

A pensarci bene fu un regista come Pietro Germi a dare un'immagine diversa della Sicilia, con i suoi capolavori "Divorzio all'italiana" e "Sedotta e abbandonata". Paradossalmente e in maniera grottesca ne faceva una terra "cavia" dove sperimentare il cambiamento del costume. E' proprio così Savatteri?

Pietro Germi, soprattutto nel suo primo film, “In nome della legge”, pensava alla Sicilia come al Far West, come l’ultima frontiera in cui ogni aspetto era portato alle estreme conseguenze. Infatti diceva: “Io credo che in Sicilia siano un pochino esasperati quelli che sono i caratteri degli italiani in generale. Io oserei dire che la Sicilia è Italia due volte, insomma, e tutti gli italiani sono siciliani e i siciliani lo sono di più, semplicemente. Proprio per questo, la uso per mettere a confronto “modernità” e “arcaismo”. Però oggi rivedere quei bellissimi film, non restituisce la Sicilia di oggi e forse nemmeno di ieri, quanto la Sicilia di Germi.

Il tuo libro è una presa di posizione netta. C'è una nuova Sicilia che malgrado l'omologazione globale riesce a fare tendenza. Da dove parte questa tua ricerca?

Parte da una certa insofferenza di dover continuare a leggere e sentire, di fronte a qualsiasi cosa accada in Sicilia, il vecchio ritornello: ogni episodio viene incasellato dentro il “pirandellismo”, il “gattopardismo”, la situazione “brancatiana” o “sciasciana”. E’ come essere imprigionati, quasi che il tempo si sia fermato per sempre e che qualunque nostra azione debba rispondere a degli schemi. Per ironia della sorte, in Sicilia può essere “pirandelliano” o “brancatiano” anche chi non ha mai letto un solo libro.

Il tuo lavoro susciterà polemiche, dibattiti, riflessioni. Secondo te è venuto il tempo di svecchiare il nostro teatro, la nostra letteratura?

Io mi auguro che ci siano polemiche. Già sento qualcuno che dice: Savatteri sputa nel piatto dove ha mangiato. A parte il fatto che non mi va di sputare nel piatto degli altri, io sostengo che dobbiamo leggere e rileggere questi grandi autori, vedere e rivedere i grandi film e le grandi opere del passato, ma dobbiamo avere il coraggio di raccontare il nostro presente non camminando con la testa rivolta all’indietro.

Nel confronto dell'asse culturale Palermo Catania cosa viene fuori?

Guarda, mi sono reso conto che nel passato le città, parlo sia di Palermo che di Catania, quasi non esistevano. I film e i libri famosi del passato sono quasi tutti ambientati in piccoli paesi, spesso dell’interno. Forse mezzo secolo fa, quando le nostre città non avevano cominciato a gonfiarsi a dismisura, gran parte dei siciliani viveva ancora nei centri piccoli o medi. Ma oggi tra Palermo, Catania, Messina e Siracusa vivono un milione mezzo di siciliani, cioè un terzo del totale. Eppure il racconto di questa realtà cittadina è abbastanza recente, con scrittori e film che hanno cominciato ad ambientare le loro storie in uno scenario urbano.

Una Palermo statica e riflessiva e una Catania levantina e camaleontica?

Ho riletto e riportato nel mio libro bellissime pagine di Pippo Fava, secondo me uno dei pochi che negli anni Sessanta e Settanta ha narrato la trasformazione convulsa di queste due città. C’è un paragone folgorante di Fava: “Catania corre per andare a vedere le cose, Palermo sta quieta in attesa che le cose le passino dinnanzi. Catania è nera, Palermo è bianca”. Forse, a leggere gli autori di Catania e di Palermo, questa sensazione c’è ancora: Catania febbrile e scomposta, Palermo sciroccosa e avvolgente.

Tu sei di Racalmuto e da lontano ti sei chiesto come mai Catania abbia questa vocazione musicale?

Il motivo non lo conosco, ma nel libro ho tentato raccontare questa lunga scena musicale che per molti anni ha fatto di Catania una sorta di Seattle siciliana. Ebbene, senza nulla togliere a Bellini o a Mascagni e alla loro grandezza, ma credo che oggi la musica del presente non sia la Norma o Cavalleria Rusticana, ma Franco Battiato, Carmen Consoli, Mario Incudine, i Tinturia, i Qbeta e i tanti altri gruppi e musicisti che, spesso in dialetto, battono il ritmo del tempo. Non do un giudizio di valore, ma di lettura della Sicilia i ieri e di oggi. Oggi, per fortuna, non ci sono più compare Alfio e compare Turiddu.

Alla fine è proprio Camilleri l'autore di un "parricidio" illustre nei confronti della triade Sciascia- Bufalino-Consolo?

Camilleri si rifà esplicitamente ai grandi autori della tradizione letteraria sbocciata in Sicilia. Ma la scompone, ne fa “cuntu”, ne rielabora la sintassi, introduce elementi di modernità, a partire dallo sdoganamento di quel dialetto letterario che chiamo “camillerese”. Introduce elementi del presente, magari dentro un panorama che somiglia alla Sicilia di un tempo. Il contrasto tra una Sicilia paesaggisticamente immodificabile, ma percorsa da passioni e sentimenti attuali (pensa solo ai casi che risolve Montalbano: affari torbidi, interessi oscuri, affari sospetti, comuni a tutto il mondo), è uno dei segreti del successo di Camilleri.

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