top of page

IL MIO RICORDO DI MANLIO SGALAMBRO A TRE ANNI DALLA MORTE

Perché tu avessi scritto quel saggio distruttivo “Marcisce anche il pensiero” (Tascabili Bompiani, 2011) non me lo hai mai spiegato. Eppure si sarebbe potuto discutere con te, come sempre, degli ultimi trenta minuti di vita del filosofo Immanuel Kant, ti premeva capire se il pensiero potesse liberarsi dal corpo prima della morte, senza subire come quello il decadimento e la putrefazione. Il tuo ateismo ti spingeva ad esorcizzare la fine della vita e con questo trattato ci sei riuscito. La donna con la falce ti colse all’improvviso una mattina di marzo, dunque avevi almeno scongiurato la marcescenza del pensiero. E ho pensato che il corpo ti avesse sempre ossessionato quando mi mandasti questo scritto per spiegarmi il testo di una tua canzone: «In una pagina de "I quarantanove racconti" di Hemingway, appare costei, questa donna, questa grassa puttana. La malizia del narratore ne dà solo un piccolo tocco, uno sbuffo di pennello appena, ma l'impressione può fare sbarrare gli occhi e per un momento non vedi altro, la tenerezza ti offusca. (Avevo dedicato questo testo di canzone a Hemingway ma ragioni editoriali non permisero che lo fosse pubblicamente). Ma ho avvertito anche la suggestione di un brano di "Mine-Haha" di Wedekind: "D'un tratto mi si erano così ingrossate la vita e le gambe, e i miei seni si gonfiavano. Non ero più sicura dei miei movimenti. Mi ero sempre d'impiccio. Quando mi svestivo, mi tastavo piena di rabbia e non riuscivo a capacitarmi che io dovessi essere tutto quello. Avrei voluto prendere tutta quella carne e gettarla in un canto...". Anche qui è una puttana che si descrive. Ma infine perché tanta tenerezza? Perché nella puttana l'Occidente ha realizzato quella piccola felicità che ha inseguito in tanti punti e trovato in pochi. Uno di questi è lei, ironia delle cose, la donna "perduta"».

Era il 1996. Questo mi raccontavi caro Manlio, che nel frattempo eri divenuto paroliere per Franco Battiato, dopo l’uscita del disco “L’imboscata”, che conteneva il capolavoro “La cura”, ma anche “Ecco com’è che va il mondo”, la canzone della grassa puttana ispirata da un racconto di Hemingway. È stato un privilegio per me l’amicizia con te, come un privilegio è stata la nostra partecipazione comune nel 2011 al documentario “Sicilia di sabbia” di Massimiliano Perrotta. Tu declamavi la tua “Teoria della Sicilia”, mentre io parlavo dello sventramento di San Berillo, quartiere di Catania che tu stesso conoscevi bene, per averci abitato con Sebastiano Addamo durante la seconda guerra mondiale. Scrive Addamo ne “Il giudizio della sera” (Garzanti 1974): “Un mondo all’inizio soltanto indovinato e appena intravisto ma di cui respiravamo gli intensi umori, e le donne che passavano sembravano portarselo dietro. A guardarle dall’alto, mentre la sera incalzava, erano ombre appena disegnate, macchie di vesti che traforavano il buio e noi lo accompagnavamo coi nostri silenzi improvvisi e delusi.”

Un articolo di "Panorama" mi aveva rivelato il pensatore di Lentini circondato dai suoi agrumeti. Era appena uscito “La morte del sole” pubblicato da Adelphi, e gli addetti ai lavori rimasero sorpresi e scossi dal filosofo nichilista apparso dal nulla. Mi feci coraggio e un pomeriggio di marzo ti telefonai, era il 1988. La tua voce ruvida e tagliente non mi avrebbe più abbandonato, nacque un’amicizia profonda che è durata fino alla tua morte. I nostri incontri e le nostre telefonate culminavano improvvisamente in fulminanti illuminazioni, in ragionamenti definitori che mi spiazzavano di volta in volta. Una bella mente quella tua, geniale, vivace e crudele quando si trattava di giungere alla verità delle cose, all’essenza delle questioni esistenziali.

Nel 1994 se ne accorse anche Franco Battiato che ti volle a suo fianco per comporre testi per canzoni e per libretti d’opera. Il vostro esordio artistico, “L’ombrello e la macchina da cucire” contiene uno dei più originali aforismi musicali di sempre, “Breve invito a rinviare il suicidio”. Tu eri un intellettuale libero, non guardavi in faccia nessuno, non amavi i politici e detestavi le banalità e i modi di dire scontati e superflui. Ma sapevi anche essere ironico con te stesso, un giorno decidesti di incidere un disco tutto tuo come cantante, interpretavi le canzoni della tua giovinezza, quelle che ti avevano fatto palpitare il granitico cuore. Ma la comunità che ti stava attorno non ti hai mai amato, né l’Università e neanche le autorità locali, che pensavano di starsene alla larga per non essere bersagliate dai tuoi anatemi profondi. Ma rimarrai sempre uno dei filosofi più importanti del nostro secolo, a dispetto del provincialismo catanese che osservavi quotidianamente dal tuo studio di piazza Umberto a Catania.

(Pubblicato su Letteratitudine 3, LiberAria, a cura di Massimo Maugeri)

Featured Posts
Riprova tra un po'
Quando verranno pubblicati i post, li vedrai qui.
Recent Posts
Search By Tags
Non ci sono ancora tag.
Follow Us
  • Facebook Classic
  • Twitter Classic
  • Google Classic
bottom of page